Pomeriggio di #lavoronarrato – 28 aprile: ecco cosa si è portata a casa Metas

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Il mondo educativo è fatto di esperienze. E’ attraverso le esperienze di vita, infatti, che si può imparare. La cosa difficile per chi fa dell’educazione la propria professione è però raccontare queste esperienze. Viene infatti spontaneo spiegare, scovare significati da sottolineare e che permettono di trovare gli insegnamenti possibili. Non è un male. A volte però diventa un limite, laddove si fa passare in primo piano l’elaborazione dell’esperienza, invece della sua narrazione.

Raccontare permette di trasmettere quell’esperienza per come è stata, accompagnare chi ascolta in un’esperienza non vissuta in prima persona che però permette di ampliare gli orizzonti della conoscenza possibile di ognuno. Può anche far venire voglia di viverla quell’esperienza o di viverne di simili. Non ci importano le forme canoniche del narrare. L’importante è che si ricominci a raccontare.

Ed ecco che il pomeriggio del lavoro narrato ha visto 7 racconti, tutte con stili narrativi differenti. C’è chi ha portato un copione di uno scambio comunicativo, chi ha raccontato di progetti fatti in servizi educativi e socio sanitari, chi ha raccontato della costruzione di una piattaforma di incontro tra educatori professionali e chi del proprio lavoro in ambito educativo da libera professionista. Potete trovare una sintesi di ogni intervento qui.

pomeriggio 28 aprile

Quello che noi di Metas ora vogliamo raccontarvi è ciò che ci siamo portate a casa di questo incontro pomeridiano, noi che in ambito educativo siamo nate e in cui proseguiamo a lavorare facendo formazione e dando supporto a organizzazioni e operatori.

Il primo elemento importante è la voglia di raccontare il proprio lavoro da parte di chi è intervenuto. Si vede che c’è un bisogno diffuso, sociale, professionale, di far conoscere le esperienze lavorative in cui siamo impegnati. Un bisogno che va oltre la rivendicazione di ruolo professionale e di ricerca delle tanto agognate risorse economiche che diminuiscono spaventosamente. Un bisogno che parla della voglia di diffondere la cultura del lavoro socio-educativo.

Altro elemento che si è notato è l’evoluzione dei bisogni sociali a cui gli operatori sono chiamati a rispondere: oggi è importante farsi carico della collettività, del territorio, non dei bisogni individuali delle singole persone che si incontrano. E questo si dice già da un po’ di anni e come categoria professionale abbiamo fatto ormai un po’ di esperienza in questo senso e ora siamo pronti anche a raccontarla. Non è stato un passaggio scontato questo. Arriviamo da anni di scuole professionali post diploma e università in cui ci hanno insegnato che è la persona da prendere in carico. Bene. Ormai questo non basta più. Sono i contesti sociali che hanno bisogno di cura e interessandoci alla collettività possiamo anche arrivare ai singoli. Possiamo lasciare segni che arrivano anche a chi non incontriamo direttamente, perché fa parte di un contesto di paese o quartiere che riprendere a vivere e trova chanche di generatività; che impara a ri-guardare al proprio vicino di casa che ha bisogno , sapendo dove indirizzare le sue richieste, permettendogli di incontrare una rete di cittadinanza capace di accogliere, o che sta recuperando man mano il valore dell’accoglienza.

E allora come si fa a rendere un quartiere o un paese più attento verso chi lo abita? come si fa ad aiutare la scuola perché possa ritornare ad essere un luogo di scelta del futuro per tutti e un buon luogo in cui crescere come persone e non solo nelle conoscenze curricolari? come si fa a far sentire una famiglia meno sola e più capace di affrontare le fatiche che i propri figli stanno vivendo? come si fa a mostrare ciò che persone con disabilità, o che vivono in altre condizioni di disagio, possono offrire alla collettività e non solo richiedere?

E per far questo, il mondo dei servizi socio-educativi e dei suoi professionisti sta lavorando per innovarsi, per rintracciare nuove strade da percorrere, usare nuovi linguaggi che vadano oltre le tecniche di relazione e prendano in considerazione un’azione diretta sugli spazi che si attraversano, rendendoli luoghi vissuti e in cui potersi incontrare, generare architetture fisiche e digitali che permettano all’umano di ritrovarsi e ai professionisti dell’educazione di riposizionarsi in un’evoluzione delle proprie competenze di ruolo con coraggio e determinazione.

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